Quello di Bomarzo, posto su un monte roccioso in peperino, alle falde del Monte Cimino, è davvero un piccolo borgo incantato.
Bomarzo: il centro storico
Il centro storico, raccolto tra antiche mura e vecchi edifici è un susseguirsi di stretti vicoli, tipici profferli e fiori ai davanzali.
I banchi di roccia lavica posti su piani di argilla, sono stati nei secoli impiegati come materiale da costruzione, come accaduto nel suggestivo Parco dei Mostri, dove il peperino è stato utilizzato per realizzare vere e proprie opere d'arte immerse nel verde.
Alcuni ritrovamenti avvenuti nelle vicine necropoli documentano una prosperità del luogo già nell'epoca etrusca prima e romana poi.
L'origine del centro storico, per motivi di difesa e controllo delle vie commerciali, si fa risalire al VI secolo a. C. in concomitanza con quella di Ferento (Acquarossa)
Da non perdere la piccola Chiesa di Sant'Anselmo, patrono di Bomarzo, le cui spoglie sono custodite nella splendida Chiesa di Santa Maria Assunta.
Bomarzo: il Parco dei Mostri
Bomarzo è famosa soprattutto per un'opera davvero unica nel suo genere, la Villa delle Meraviglie o Bosco Sacro, definito molto spesso Parco dei Mostri.
Il parco venne progettato dal principe Vicino Orsini e dal grande architetto Pirro Ligorio verso la metà del XVI secolo.
Questa realizzazione si inserisce nella cultura architettonico-naturalista del secondo Cinquecento, ma rispetto alle geometrie e alle armonie propettiche che si trovano nei palazzi rinascimentali disseminati nella Tuscia, da Palazzo Farnese a Villa Lante, essa rappresenta un "unicum".
Il parco dei Mostri abbandona infatti ogni regola prospettica e di proporzioni per dare sfogo alla creatività assoluta, in un eccentrico gioco di forme e dimensioni.
Nel bosco infatti sono state scolpite, in massi di peperino, tipico della zona, figure di mostri, di draghi, di animali e soggetti mitologici, accanto ad altre strutture come la casa pendente, il tempietto funerario, obelischi e sedili con iscrizioni dell'epoca.
Tutti questi elementi sono slegati tra di loro e il criterio seguito per la loro realizzazione è tutt'oggi un mistero.
Per secoli, subito dopo la morte di Vicino Orsini, il Bosco Sacro fu abbandonato, finché a partire dal XIX secolo non è stato riscoperto e apprezzato da intellettuali come Claude Lorrain, Johann Wolfgang von Goethe, Salvador Dali, Mario Praz e Maurizio Calvesi.